Una intervista a Roberto Baggio non è mai una cosa banale, visto che non parla quasi mai. Questa volta si è raccontato sul palco del Teatro Sociale col direttore Andrea Monti. Code infinite fin dalla mattina per assistere al grande evento. E il Divin Codino ha raccontato tutte le sue verità, anche quelle del suo passaggio alla Juventus…

Ma molte volte ha dovuto invece ingoiare le lacrime, quando per esempio ha ripercorso i tre giorni di guerriglia che accompagnarono il suo addio a Firenze. “Io non avrei voluto andarmene alla Juventus, eppure mi sentivo colpevole per quello che stava accadendo. Tanta gente è finita all’ospedale per quegli incidenti. Una magra consolazione è che alla fine questa cosa è uscita. Pontello l’ha ammesso, ma io mi sono portato un peso per tanti anni. Volevo restare alla Fiorentina”. Oltre al ginocchio martoriato, con 220 punti interni di sutura, e la necessità di allenarsi il triplo degli altri ogni giorni, ci sono state tante altre ferite nella sua carriera.

Il rigore di Pasadena per esempio, e l’esclusione dal Mondiale 2002. “Per una volta farò la figura del presuntuoso: avrei meritato di essere convocato a quel Mondiale”.

Invece Trapattoni lo lasciò a casa, in un torneo con le rose allargate a 23, proprio perché la Fifa, si disse, sperava in questo modo di ritrovarsi in gara sia Baggio che Ronaldo. “È stata una delusione profonda, simile a quella di Pasadena, forse anche per questo ora vivo lontano dal calcio. Perché in me c’era tanta voglia di rivincita proprio dopo quel rigore sparato alto. Non ne ho mai tirato uno così in vita mia, forse uno alto, ma non così tanto sopra la traversa. A volte ancora prima di andare a dormire ci ripenso”.

Altre ferite, magari più lievi, ma persistenti, sono i rapporti con gli allenatori, da Sacchi al sergente di ferro Lippi. “Ho avuto la fortuna di essere allenato da grandi tecnici, poi a volte i rapporti si sono incrinati per qualche piccolo screzio. Forse perché la gente mi voleva bene, c’era sempre tanto affetto intorno a me, e se giocavo bene parlavano di me, e se non giocavo criticavano perché non mi facevano giocare. Non so, forse era questo. Ma io non ho mai fatto niente per mettermi davanti agli altri, figuriamoci davanti a un allenatore. Ho sempre cercato di fare del mio meglio per la squadra”.

Poi, alla fine della storia, arriva il vecchio Mazzone, un allenatore risolto, dice Baggio. “Mi ha insegnato la semplicità, requisito che già avevo in me e forse per questo siamo entrati subito in sintonia”.

Dal calcio del passato a quello del presente. “Cristiano Ronaldo, Messi? Tutti fenomeni. Dybala ha qualità incredibili, la Juve con Sarri ha preso un allenatore che a Napoli ha fatto giocare un bel calcio, ma ci vuole tempo. Neymar è divertente, come si fa a non definire fenomeni giocatori così. Mi piacerebbe giocare in questo calcio, quando vedo l’arbitro che tira la linea della barriera… pensate a quanti gol avrei potuto fare io e non soltanto io… pensate a Zico, Mihajlovic e tanti altri”.

Nel finale, sul palco compaiono alcuni amici, Javier Zanetti, Antonio Filippini, Toto Rondon, Fabrizio Ferron. “La vera grandezza di Baggio è la sua persona”, dice Zanetti. E in teatro scattano altri applausi a scena aperta. Lo scrive la Gazzetta dello Sport.

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