Alcuni passaggi delle parole di Francesca Fioretti intervistata dal Corriere della Sera.
Sono passati 7 mesi da quel tragico 4 marzo. Da quando Davide, senza rumore, ci ha lasciati. Ai nostri dubbi, alle nostre debolezze, al nostro essere maledettamente impreparati di fronte ad un destino a cui non siamo in grado di dare alcuna spiegazione logica.
Impreparati ad un dramma che nessuno vorrebbe mai vivere. Un dramma che ha dovuto affrontare, prima su tutti, Francesca Fioretti, la compagna di Davide Astori. Una donna che in tutto questo tempo ha cercato la forza di andare avanti, per sè stessa, per la piccola Vittoria. E per Davide.
Mesi di silenzio, che noi del Quando Facundo Roncaglia abbiamo deciso da subito di rispettare. Avevamo pensato di fare un Libro, una raccolta di pensieri dei suoi tifosi. Tifosi di tutta Italia. Lo avevamo già ideato, ma mai avremmo deciso di pubblicarlo senza il consenso di Francesca. La abbiamo contattata tramite A.C. Fiorentina, erano i giorni bui in cui si cerca la forza per superare un dramma insuperabile. Ci fece sapere che preferiva il Silenzio. Un ricordo silenzioso, rispettoso. E noi lo abbiamo rispettato.
Oggi Francesca ha trovato la forza di parlare, l’ha fatto con Walter Veltroni sulle pagine del Corriere della Sera.
E’ pronta a ricominciare, a ripartire da tutto quello che le ha lasciato Davide: e su tutto, da Vittoria.
“Di una cosa sola sono certa: so di avere reso felice Davide. Il destino con noi è stato davvero ingiusto, ma reggo il dolore perché se non avessi incontrato Davide non ci sarebbe stata la gioia del nostro amore attraverso il quale lui si è realizzato e completato come uomo e come padre. Quando se ne è andato era nel momento più felice della sua vita, per questo sopporto il dolore. C’era una vita possibile, per me e per lui. Ora ce n’è un’altra che non ho scelto. La costante gioiosa è Vittoria. Ora la mia vita deve ricominciare“.
“Devo fabbricare le ali con le quali Vittoria possa volare nella vita”
“Il 5 Marzo l’ho accompagnata a scuola e sono andata dalla psicologa dell’infanzia. Ho voluto mantenere la routine quotidiana di sempre. Nemmeno la cosa più tragica che poteva mai accadermi doveva destabilizzarla. Non devo vivere il mio dolore attraverso di lei, non deve vedermi triste né disperata. La sua serenità dipende dalla mia. Davide, per quanto io stia male, non deve diventare un tabù, qualcosa di cui non si può parlare. Vittoria sa che lui non tornerà, ma lo abbiamo collocato in un luogo immaginario in cui è felice. Il vuoto che ha lasciato Davide non ci deve inghiottire. Devo fabbricare le ali con le quali Vittoria possa volare nella vita. Le mie lacrime ci saranno, e le condividerò con lei, ma dovrò fare in modo che lei comprenda che sono lacrime non di disperazione. Sono lacrime di emozione, quell’emozione che solo i ricordi più belli possono creare. Insieme sapremo colmare il vuoto che si è creato riempiendolo con tutti i ricordi e le immagini di noi e del breve ma intenso periodo che abbiamo condiviso. Questo penso sia l’unico regalo e l’unico modo con cui posso accompagnarla nel futuro: essere la sua ancora quando ne avrà bisogno, il porto sicuro dove potrà sempre tornare ed essere serena, ma lasciandola libera di vivere come tutte le sue coetanee”.
“Mi ha scritto per un mese, ogni giorno”
“Una sera di settembre 2013. A una festa lui mi ha fermato per chiedermi come era il Vietnam, dove io ero stata come concorrente del programma televisivo Pechino Express. Sembrava una strategia, ma la vita e i nostri viaggi si sarebbero incaricati di provarmi che era sincero. Quella notte mi arrivò il suo primo messaggio, si era fatto dare il numero da un amico. Mi ha scritto per un mese, ogni giorno. Poi insieme siamo andati in India, in Nepal, in Perù, in Giappone. Sembravamo due adolescenti, fra treni e autobus. Dopo un controllo fatto in Perù ci dissero che avevamo perso la nostra bambina e invece, tornati a Roma, abbiamo scoperto che andava tutto bene. In quel momento Davide si convinse che era femmina: “Se è così forte, non può che essere una bambina”. E per questo decidemmo di chiamarla Vittoria”.