L’intervista a Massimo Basile, giornalista di Repubblica, Il Tirreno e Corriere dello Sport, per molti anni corrispondente da New York, a calciostyle.it

Un giudizio sul triennio di Italiano?

Positivo: ha dato un’anima a una rosa modesta, ha trasformato in squadra offensiva un gruppo di atleti non forti nell’uno contro uno. Attaccare in massa è stata una scelta necessaria per ovviare alla mancanza di talento: con più giocatori avevi più possibilità di mantenere il controllo del gioco. Con Batistuta ed Edmundo potevi dare loro la palla sapendo che avrebbero tenuto in allarme cinque giocatori, con quelli che aveva Italiano no. L’attacco esasperato non è stato per follia, ma per calcolo. Il gioco, per produrre risultati, si poteva accompagnare solo con più giocatori, e per farlo dovevi alzare tutta la squadra per non spezzarla. Non mi è piaciuto, invece, nella comunicazione, il suo continuo scaricare le responsabilità sui singoli senza mai assumersi pubblicamente le responsabilità. Quando disse che Nzola non giocava nel Barcellona, per dire. E poi una certa insofferenza alle critiche in una città che è sì polemica ma non come Napoli, Roma. o Milano. Lì non sarebbe durato più di tre mesi. A Firenze è durato tre stagioni.

Da quali giocatori ripartiresti nella prossima stagione?

Da Martinelli, Kayode, Dodo, Quarta, Milenkovic, Ranieri, Biraghi, Parisi, Castrovilli, Beltran, Kouame. Ma di questi almeno cinque li vedrei come alternative ai titolari.

Come ti spieghi il silenzio post Atene, in parte risanato dalle tardive scuse delle ultime ore?

La storia della società è nota: dichiarazioni roboanti e con una punta di veleno dopo una vittoria, silenzio dopo le sconfitte. Abbiamo avuto pochi momenti roboanti e molti silenzi in questi anni.

Sei stato il primo ad annunciare Commisso nuovo proprietario viola: dopo cinque anni, cosa ti aspettavi di diverso rispetto a quanto fatto?

Il primo anno mi parlavano solo di calcio, mi dicevano che lo stadio non interessava e che volevano solo divertirsi e vincere e a me sembrava di sognare. Poi cambiarono improvvisamente tono, cominciarono ad attaccare i fiorentini, a paragonarli a formiche che si addensavano intorno al ‘pane’, rappresentato dai soldi del presidente, e lì non ho capito più. Parlavano solo di stadio. Chiesi chiarimenti, feci notare che trovavo offensivo paragonare i fiorentini a formiche. Loro la presero male, perché hanno un’idea dei rapporti con le persone basate sulla fedeltà cieca, un’idea un po’ trumpiana. Per loro o stavi dalla loro parte o contro, ma un giornalista non deve stare né da una parte né dall’altra. Chi tra i media ha buoni rapporti con proprietà simili lo fa rinunciando alla propria indipendenza. Se devo pensare al primo anno, i successivi quattro hanno dato molto meno del previsto. Se penso al dopo, sono stati in linea con i loro obiettivi. Erano venuti per fare affari, non per fare calcio, e hanno fatto affari. In questo sono stati bravissimi, ma il presidente ha una storia di grande tenacia negli affari. E’ sempre stato un osso duro per tutti.

Le ambizioni sventolate da Pradè e Ferrari ti convincono?

No.

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